03.01.2014 – Il Tribunale Nazionale Antidoping (TNA) “non fa regali a nessuno”: i recenti casi Di Luca e Licciardi.
In questo periodo dell’anno c’è un detto che dice: “a Natale bisogna essere tutti più buoni”, ma questo sicuramente non vale per il Tribunale Nazionale Antidoping (TNA) che negli ultimi tempi sta infliggendo condanne esemplari che lasciano il segno non solo per gli atleti, ma soprattutto per il mondo dello sport.
In merito, rileva la vicenda del ciclista Danilo Di Luca tanto quella del podista Devis Licciardi. Per entrambi un verdetto che non lascia scampo, soprattutto per il ciclista abruzzese, vista la radiazione a vita inflittagli dal TNA, mentre per il mezzofondista dell’Aeronautica militare Devis Licciardi, una squalifica di tre anni.
Per capire meglio le ragioni della diversa entità delle squalifiche, bisogna riassumere i fatti, analizzandoli separatamente. Nella vicenda Di Luca, il TNA ha accolto la richiesta della Procura Antidoping del CONI, che aveva deferito lo stesso ciclista abruzzese “in ordine alla violazione del codice WADA in relazione alla positività per presenza di Eritropoietina ricombinante”, dopo un test effettuato nell’aprile 2013 a pochi giorni dall’inizio del Giro d’Italia. Inoltre, tenuto conto che per Di Luca si trattava “della seconda violazione della normativa WADA”, la Procura chiese, oltre alla squalifica a vita, anche “l’invalidazione dei risultati agonistici conseguiti successivamente al prelievo biologico”.
Il “Killer di Spoltore” ha, così, subito la pena più severa proprio perché recidivo. La prima squalifica, infatti, era stata comminata per essere stato coinvolto nella c.d. indagine “Oil for Drugs”, ovvero un’indagine antidoping avviata nel 2003 in seguito alla morte sospetta di alcuni ciclisti dilettanti. Partita in Toscana, con una serie di perquisizioni dei Nas presso le abitazioni di ciclisti, atleti, farmacisti e medici sportivi, aveva portato al sequestro di prodotti dopanti e prescrizioni mediche.
Dall’indagine risultarono coinvolti, oltre il medico sportivo Carlo Santuccione (radiato a vita dalla professione medica nel 2007), anche alcuni ciclisti tra cui Danilo Di Luca, condannato nell’ottobre 2007, ad una sospensione per tre mesi. La seconda squalifica venne ufficializzata nel luglio del 2009, in attesa delle controanalisi, dopo aver partecipato al Giro d’Italia, durante il quale Di Luca risultò positivo ai due controlli antidoping sottopostogli. Nell’agosto 2009, anche le successive controanalisi confermarono la positività di Di Luca e, nel febbraio 2010, questi venne squalificato per due anni dal TNA e multato. La squalifica sarebbe dovuta terminare il 21 luglio 2011, ma il TNA, tenuto conto della collaborazione nelle indagini antidoping con la Procura di Padova, decise di concedere uno sconto della pena di nove mesi e sette giorni, permettendogli così di tornare a correre già nell’ottobre del 2010. Scontata la squalifica e ritornato in sella, però, il ciclista abruzzese, il 24 maggio 2013, fermato alla vigilia della 19esima tappa del Giro d’Italia risultò positivo all’EPO. Poi il resto è attualità di queste settimane.
Lo scorso 5 dicembre, il TNA ha inflitto la squalifica a vita a Di Luca, in ossequio agli artt. 2.1 e 2.2 del Codice WADA (artt. 21.1 e 2.1.2 del Regolamento Antidoping dell’Unione Ciclistica Internazionale), che rispettivamente sanciscono che costituisce violazione del Codice mondiale antidoping “la presenza di una sostanza vietata o dei suoi metaboliti o marker nel campione biologico dell’atleta” e “uso o tentato uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito da parte di un atleta” e per la violazione dell’art. 10.7 codice WADA (art. 306 del Regolamento UCI) con decorrenza dal 24 Maggio 2013, disponendo anche l’annullamento di tutti i risultati agonistici da Di Luca conseguiti successivamente al prelievo biologico del 29 Aprile 2013.
Per Devis Licciardi atleta azzurro dell’Aeronautica militare, invece, il Tribunale Nazionale Antidoping del CONI ha comminato, invece, la squalifica di tre anni. Ciò perché in occasione di un test antidoping disposto lo scorso 21 settembre a Molfetta, al termine del Campionato Italiano Individuale Assoluto 10 km su strada, era stato colto in flagranza mentre tentava di aggirare un controllo antidoping, utilizzando un membro di gomma con dentro urina c.d. “pulita”.
Nei suoi confronti la Procura Antidoping aveva chiesto una squalifica di due anni e mezzo, mentre la Prima Sezione del TNA lo ha condannato con una pena superiore, appunto di tre anni, sulla base della violazione degli artt. 2.5 e 10.6 del Codice WADA e gli artt. 2.5 e 4.6 delle NSA, a decorrere dal 26 Settembre 2013 con scadenza al 25 Settembre 2016, disponendo, inoltre, l’invalidazione dei risultati eventualmente conseguiti a decorrere dal 21 Settembre 2013 e condannandolo al pagamento delle spese procedimentali. Il TNA, inoltre, ha sanzionato la responsabilità della Sig.ra Sara Malpetti, fidanzata e complice del siepista, non tesserata presso la Federazione, per la violazione degli artt. 2.8, 4.3.2 e 4.5.4 delle NSA e gli artt. 2.8, 10.3.2 e 10.5.4 del Codice WADA, con l’inibizione per 3 anni e 6 mesi, a decorrere dal giorno 5 Dicembre 2013 e con scadenza al 4 Giugno 2017, a tesserarsi e/o a rivestire in futuro cariche o incarichi in seno al CONI, alle FSN, alle DSA o agli EPS, ovvero a frequentare in Italia gli impianti Sportivi, gli spazi destinati agli atleti ed al personale addetto, prendere parte alle manifestazioni od eventi sportivi che si tengono sul territorio nazionale o sono organizzati dai predetti Enti Sportivi, condannandola anche al pagamento delle spese del procedimento.
Insomma ci troviamo di fronte a due realtà, quella del ciclismo e quella dell’atletica leggera, che seppur definiti sport “minori” rispetto al calcio, sono le attività sportive più praticate dal genere umano e che purtroppo, la maggior parte delle volte, rilevano solo per notizie negative, come quelle appena descritte, apparendo così, agli occhi di tutti, come degli sport “sporchi”, invece di distinguersi per i reali valori che queste discipline sportive trasmettono.
E’ pur vero che sono molti i casi di doping che le contraddistinguono e che, quindi, la vera minaccia non proviene dai mass-media oppure da controlli irregolari da parte degli organi competenti, da sempre operativi nella loro battaglia al doping, bensì dagli stessi atleti, i protagonisti di queste discipline sportive, i quali ognuno a suo tempo, dovrebbero imparare a riconoscere i propri limiti ed accettarli di conseguenza, senza dover ricorrere ad un qualche espediente che possa compromettere la propria carriera. Lo sport ci insegna anche questo.